giovedì 21 maggio 2009

Paranoid park

Portland è forse la citta dove si conta il maggior numero di skaters al mondo. Come racconta il film di Gus Van Sant Paranoid Park.




Paranoid Park
Alex è un adolescente che vive a Portland. Per lui come per altri che condividono la sua passione per lo skateboard, Paranoid Park è la meta sognata e temuta, una pista enorme e complicatissima che sorge presso i binari di una ferrovia. Una notte, Alex si reca a Paranoid Park e fa amicizia per caso con alcuni ragazzi. Con uno di loro decide per gioco di salire su un treno in corsa ma il guardiano della ferrovia se ne accorge e li insegue. In seguito ai drammatici fatti di quella notte, Alex inizierà a confrontarsi con le sue responsabilità verso quanto accaduto.

Recensione:
Applauditissimo all’ultimo Festival di Cannes dove ha anche conquistato il Premio del 60° anniversario per l’insieme dell’opera, Paranoid Park è l’ultimo capitolo della trilogia dedicata al rapporto gioventù-morte che Gus Van Sant aveva inaugurato con Elephant, seguito poi da Last Days. Il film, ambientato in una desolatissima Portland è tratto dall’omonimo romanzo thriller di Blake Nelson e filmato in super 8 e 35 mm sotto la supervisione di Christopher Doyle, già direttore della fotografia di Wong Kar Wai.

Libro e film descrivono l’ambiente dei giovani skaters che dedicano le loro giornate e anche le notti a sfidare se stessi e gli altri su e giù per piste e scivoli, proprio come accade già in una serie di skater-movies di cui Lords of Dogtown (2005) e il documentario Dogtown and Z-boys (2001) sono tra gli esempi più riusciti.
Paranoid Park è una grande pista abusiva costruita dai suoi stessi frequentatori nei pressi di una ferrovia. Alex e i suoi amici vi si riuniscono appena possibile per sfuggire alla noia. Gli adolescenti ritratti da questo film si fanno trasportare più o meno inerti dallo skate, non hanno particolari altri interessi, non conoscono lo studio, vanno a scuola per dormire o per passare il tempo in attesa che finisca la mattinata, vivono in famiglie che non impongono orari e che non battono ciglio se i figli escono in macchina il martedì notte per andare chissà dove.

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